Lo stemma civico di Naro

L’emblema civico originario raffigurava tre monti con lingue di fuoco troneggianti. Successivamente, i colli furono sostituiti con tre torri ma rimasero le lingue di fuoco a conferma della persistenza della importanza che la Città ha sempre attribuito al fuoco, elemento essenziale per la sopravvivenza della comunità naritana.

Naro, latino ‘Narus’, Città regia nobile ed antica, sebbene il Fazello dicala erroneamente saracenica di origine e di nome, contigua ad un monte a tre capi situato alle parli orientali rimpetto Girgenti , rivolta verso mezzogiorno ed oriente, a 12 m. (miglia) da quella città ed 8 dalla spiaggia ; si ha un aspetto lieto e giocondissimo, e domina la intera regione. NAR, nel punico dialetto, vale fiamma, poiché dicono esservi stata in quel colle una vedetta, donde per mezzo di fiamme ammonivansi le genti d’intorno a guardarsi dalle insidie dei nemici. (Dizionario topografico della Sicilia. Vol. II, Vito Amico, tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino di Marzo, chierico distinto della Real Cappella Palatina. Palermo 1856.  Pag.182 e  segg.)

Per gli appassionati del dettaglio, aggiungiamo che i tre colli iniziali presenti nell’antico emblema rappresentavano il monte Naro, il monte Castellaccio ed il monte Caravello (G. G. Pottino, Cartaginesi in Sicilia, ediz. 1976).

Le tre torri raffigurate nello stemma attualmente in uso alla Civica Comunità rappresentano le tre torri della Fulgentissima: la torre Fenice (non più esistente) verisimilmente situata nella sommità del quartiere fenicio della Città, corrispondente all’odierna zona della Madonna della Rocca, la Torretta e la Torre del Castello.

Naro, in epoca chiaramontana, rappresentava un significativo nodo nelle linee di segnalazione tra la costa, soggetta alle scorrerie dei pirati e l’interno, ragion per cui le torri, con tutta evidenza, evocano un richiamo simbolico alla funzione difensiva espletata da tali manufatti  ai fini delle comunicazioni ‘militari’, specialmente in caso di attacchi di truppe provenienti dalla costa.

Se, da un lato, la Sicilia, può dirsi privilegiata per la posizione geografica circondata dal mare, dall’altro, tale circostanza l’ha posta in uno stato di perenne minaccia  a causa dei frequenti sbarchi ed attacchi di popoli  intenzionati  a conquistare l’Isola, in particolar modo pirati e corsari. In concomitanza con l’espansione dell’Impero ottomano, nel XIV secolo, rappresentarono un serio pericolo le incursioni dei turchi che, dal loro insediamento ad Algeri, realizzavano agevolmente le loro scorrerie nel Mediterraneo.

Molti ricorderanno l’espressione sicula “Mamma li turchi! “, utilizzata quando ci si trova di fronte ad un pericolo  imprevisto che suscita notevole paura. Tra i tanti  versi popolari che riecheggiano tale situazione di pericolo in cui venne a trovarsi, in tale periodo, la costa sicula , ricordiamo quello che recita “Allarmi, allarmi, la campana sona, li turchi sù già arrivati a la marina!  Cu avi scarpi rutti li risola, ca iu li risulai stamatina.”  Altra particolare ed ineludibile menzione in proposito sul medesimo tema, compete al dolcissimo brano, portato al successo  nella impareggiabile versione dei Dioscuri“Tra villi e valli”.

A Naro, da e tramite le torri del castello, venivano effettuate le segnalazioni ai Paesi vicini, sia di giorno che di notte; di giorno, con segnali di fumo generato da vere e proprie camere di combustione ricavate in apposite cavee naturali o artificiali; di notte, tramite i “fuochi” visibili a occhio nudo fin dove la vista  spazia dall’altura chiaramontana.

I segnali via torre erano semplici e rudimentali e non utilizzavano alcun codificazione. Entrambe le modalità presupponevano l’altura del sito per potere essere agevolmente scorte ed avvistate anche in lontananza.

Dell’esistenza iniziale ed utilizzo delle torri di segnalazione in Sicilia, peraltro, si ha notizia documentata dallo storico Livio che ne attesta la presenza sicula già all’epoca della seconda guerra punica (Livio, XXI 49, 8-10).

Utilizzate per fini comunicativi di ‘avviso e sicurezza’ già ai tempi delle dominazioni arabe e normanne, tennero testa al loro ruolo difensivo sino alla prima metà dell’ottocento.

Nel ‘600 vennero istituite, in tutta l’Isola, le torri costiere il ruolo del torraro venne istituzionalizzato. Le sue mansioni comprendevano diverse funzioni di gestione ed allerta a tutela della sicurezza pubblica. La nomina e vigilanza spettava agli ‘alti offiziali’ e godeva di un certo prestigio nella comunità locale; al  torraro era imposto anche un ‘segnale’ di riconoscimento visivo pur se fuori dal servizio per cui portavano uno speciale cappello nero con una ‘impronta’ che lo  contraddistingueva. Non poteva assentarsi per più di due giorni dal servizio,pena il licenziamento e salvi i casi di malattia che richiedevano cure particolari.

Tale figura resistette, in Sicilia, sino alla fine del ‘700 con mansioni di pubblico dipendente addetto alla guardianìa ed accensione dei fuochi nelle torri costiere e di cui ha fornito testimonianza letteraria anche lo scrittore Luigi Natoli, deceduto a Palermo nel 1941, nel suo “Calvello il bastardo”, ambientato nella Palermo settecentesca.

Non potevamo concludere la nostra breve analisi senza ricordare un piccolo gioiello letterario “I cavalieri delle torri ardenti” di Ignazio Burgio che, nel romanzo storico citato, ha narrato con mano sapiente e leggera, quasi come un sussurro al lettore, le vicende storiche che interessarono la Fulgentissima ai tempi della dura contesa tra la Regina Bianca ed il Conte di Modica, rappresentandole in maniera soft, quasi didattica, oltremodo gradevole.

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